18-23 aprile2017 – “BILLY BUDD MARINAIO”, Genova
I detenuti di Marassi in Billy Budd marinaio
Teatro della Corte – 18-23 aprile 2017
Billy Budd marinaio
di Fabrizio Gambineri e Sandro Baldacci dal romanzo di Herman Melville
con gli attori detenuti della Casa Circondariale di Marassi e la partecipazione di Igor Chierici e Mattia Baldacci
scene e costumi Elisa Gandelli
musica Bruno Coli
luci Clivio Cangemi
produzione Teatro Necessario Onlus/compagnia teatrale “Scatenati”
«Un romanzo non tanto conosciuto. A lungo rimasto nel cassetto», scelto come è successo in questi anni «per l’attinenza con i temi rispetto al contesto in cui lavoriamo», afferma Sandro Baldacci ragionando intorno a Billy Budd marinaio (da Herman Melville), punto di partenza per la produzione 2017 di Teatro Necessario con la compagnia teatrale di detenuti Scatenati, del carcere di Marassi. Lo spettacolo è in scena al Teatro della Corte dal 18 al 23 aprile 2017 e in replica per le scuole al Teatro dell’Arca, all’interno della casa circondariale maschile genovese nei giorni successivi.
Dopo Padiglione 40, ambientato negli spazi chiusi di un ospedale psichiatrico, quest’anno la dimensione del confinamento si realizza attraverso una vicenda che si articola sui limiti ben precisi di una nave, dove regole e gerarchie oltre alle leggi della natura e del mare dettano ritmi e costringono il movimento dentro precisi ranghi. «Con Melville ci viene offerta l’occasione di trattare un tema molto sentito in carcere: quanto la giustizia possa andare nel verso giusto o sbagliato. Ritorna il tema della nave da noi già toccato in passato e parabola dell’isolamento, dove si scontrano due forze assolute: il bene e il male. Il bene di Billy e il male di Claggart. Non ci si chiede perché uno incarni il bene e uno il male, il capitano deve solo scegliere tra il bene e il male, ma non ci riuscirà, perché alla fine il bene e il male si annientano vicendevolmente».
Come in tutte le produzioni di Teatro Necessario il testo è un materiale fonte che poi subisce un importante intervento di riscrittura in corso d’opera o, per meglio dire, durante il lavoro con i detenuti e sulla sensibilità di Fabrizio Gambineri, drammaturgo della compagnia e lo stesso Baldacci, regista. «Siamo partiti, a settembre (2016, ndr), con un canovaccio del testo che è stato man mano riscritto, soprattutto per far sì che i personaggi fossero rielaborati sul materiale umano del gruppo di quest’anno. Molto è stato trasformato anche rispetto alle singole scene, ma i cardini della trama restano intatti».
L’imprecisione, l’approssimazione e la fallacia della giustizia è certo tema delicato, come è stato vissuto dai detenuti-attori? «Sì, quest’anno è molto forte la partecipazione emotiva dei 24 interpreti tra cui, a parte i due attori esterni (Igor Chierici e Mattia Baldacci, diciasettenne figlio del regista), e 4 o 5 già protagnisti delle nostre produzioni, tutti gli altri sono alla loro prima esperienza sul palcoscenico».
Si parte con un lungo flashback. «L’inizio è ispirato ai Pirati dei Caraibi, con la nave Indomabile, già in disarmo e il capitano sopravvissuto, ormai poco più che un’alga umana. Sarà lui a cominciare la narrazione con un lungo flash back. L’epilogo ci ha permesso di affrontare un altro tema sensibile, su come vengono trattate certe notizie. Sulla stampa infatti la versione ufficiale della storia descrive Billy Budd come un delinquente, mentre assolve del tutto Claggart. Una riflessione sui mezzi di comunicazione e sulla manipolazione delle notizia, un tema molto circoscritto che arriva solo sul finale, mache offre molti interessanti spunti nel discorso del comandante deciso a lasciare la nave e le consegne perché non si sente più all’altezza del suo ruolo, non avendo potuto salvare il bene».
All’interno del gruppo consolidato, come sempre la compagnia vive continui aggiustamenti per il va e vieni fisiologico. «Quest’anno ci sono moltissimi stranieri, così abbiamo fatto una scelta che segue l’impostazione stessa del romanzo: gli italiani interpretano gli ufficiali, mentre i marinai sono quasi tutti stranieri. La storia infatti racconta anche che c’era un arruolamento forzato (prima scena) da bettole, moli e osterie che costringeva molti ad imbarcarsi contro la loro volontà – il che li portava a vivere l’arruolamento esattamente come una forma di reclusione».
Teatro di parola, ma anche teatro musicale sono sempre i due registri su cui le produzioni si appoggiano, quest’anno si vira decisi verso la dimensione musicale tanto da definire il lavoro un’opera rap. «Il genere si presta molto e questa era un’intuzione iniziale che si è poi andata consolidando. Sono quasi una ventina i brani musicali creati da Bruno Coli, in parte rappati, in parte resi in una dimensione corale. Accanto anche alcune proposte di rock melodico».
Come per tutte le produzioni, non è solo la dimensione attoriale che coinvolge i detenuti in prima persona, ma c’è anche tutta la dimensione della realizzazione tecnica di scene e costumi che li impegna all’interno della falegnameria del carcere, seguito da Fuori scena. Luci e montaggio anche a carico dei detenuti-tecnici formatisi con appositi corsi professionalizzanti.
E se per molti sarà un debutto sul palco, qualche giorno fa c’è stata un’altra interessante prima volta: quella delle detenute del carcere femminile di Pontedecimo, per la prima volta spettatrici al Teatro dell’Arca. «Un’esperienza molto bella. Fra l’altro da anni pensiamo che sarebbe bello coinvolgerle per i ruoli femminili, ma non abbiamo ancora tentato di mettere in piedi il progetto perché parecchio complesso in termini di permessi ma anche di fattibilità sul lungo periodo. Le problematiche non sono poche, ma non è escluso che in futuro non si riesca a farlo».
Un’anticipazione: «l’anno prossimo continuiamo su questi temi, sempre al Teatro della Corte, con un adattamento di Otello, guardando sia al lavoro di Armando Punzo sia ai fratelli Taviani, con il nostro Desdemona non deve morire, per affrontare la questione del femminicidio».
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